Intervento alla colonna? No grazie!
La colonna vertebrale è indubbiamente un tema molto complesso. Deve questa sua caratteristica alla presenza non solo di un sistema articolare e muscolare, ma soprattutto alla presenza del midollo spinale al suo interno, struttura che connette il cervello al resto del nostro organismo e che da origine al complesso nervoso periferico. In particolar modo il midollo spinale è sede di passaggio delle vie sensoriali ascendenti che trasmettono lo stimolo doloroso recepito dai nocicettori periferici attraverso fibre mieliniche a Delta (dolore primario, acuto, facilmente localizzabile) o fibre amieliniche C (dolore secondario, sordo, diffuso) che giungono al corno posteriore della sostanza grigia midollare. Da qui, le informazioni sensoriali proseguono il loro percorso attraverso vie dirette al talamo, o al tronco encefalico e poi al cervello.
Essendo sede di passaggio di numerosi segnali afferenti provenienti dalla periferia del nostro corpo, non sempre è facile individuare la causa di un dolore presente in questa zona.
Quali tipi di dolore possiamo classificare?

Dolore nocicettivo (50% dei pazienti con mal di schiena), è una forma di dolore transitorio, con attivazione dei recettori periferici in assenza di danno tissutale al nervo, ma presente su un tessuto non nervoso. Una reazione fisiologica ad uno stimolo lesivo o potenzialmente tale per i tessuti. Comprende:
- Dolore discogenico, causato dall’irritazione del nervo sinuvertebrale, associato a rottura dell’anulus (parte fibrosa che compone il disco intervertebrale e delimita il nucleo) o frattura vertebrale e che è condizionato dal fenomeno della centralizzazione del dolore (movimenti ripetuti in una determinata direzione portano ad una regressione del sintomo o scomparsa a livello periferico).
- Dolore zigoapofisiario, presente a livello delle faccette articolari delle vertebre, zona riccamente innervata. Associato a limitazione del movimento.

- Dolore sacro-iliaco, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo (https://fisioterapialaspezia.it/?p=5637), è definito come un dolore al cingolo pelvico che si manifesta generalmente in relazione a gravidanza, traumi, artrite e artrosi. Si avverte dolore tra la cresta iliaca posteriore e la piega glutea, in particolare in prossimità dell’articolazione sacro-iliaca. Il dolore può irradiarsi nella parte posteriore della coscia e può anche manifestarsi in combinazione con / o separatamente nella sinfisi.
- Dolore miofasciale, che deriva dal muscolo o dalla fascia che lo avvolge. Si ritiene che sia dovuto ad un eccessivo rilascio di acetilcolina che diminuisce l’afflusso sanguigno, portando il muscolo in deficit di ATP.
Dolore neuropatico, causato da una lesione o da una disfunzione del sistema nervoso somatosensoriale periferico. Sono spesso presenti sintomi come bruciore, formicolio e scosse elettriche. Comprende:
- Radicolopatia compressiva, solitamente causata dalla presenza di un’ernia o da un collasso discale che comprime la radice nervosa, da fenomeni artrosici a carico delle articolazioni vertebrali o da tumori. Spesso associata a spasmo muscolare.
- Radicolopatia non compressiva, causata da patologie infettive (tubercolosi, istoplasmosi, malattia di Lyme, sifilide e herpes zoster) o diabete.
- Stenosi del canale midollare, che causa la compressione delle radici spinali o della cauda equina. Può essere determinato da fenomeni congeniti, degenerativi a carico dei dischi, delle faccette articolari, del legamento giallo o da spondilolistesi.


Dolore da instabilità funzionale, causato dalla mancanza di controllo neuromuscolare per deficit dei muscoli paravertebrali e addominali, che determina movimenti ampliati dei segmenti somatici con conseguente aumento del carico sui tessuti locali.

Dolore centrale, causato dal fenomeno della sensibilizzazione centrale, ovvero da un’alterazione dell’elaborazione degli stimoli nocicettivi afferenti a carico del sistema nervoso centrale che determina ipersensibilità. Sono comuni due fenomeni, l’allodinia, ovvero quando uno stimolo che prima era innocuo, ora viene percepito come doloroso, o l’iperalgesia, quando uno stimolo già considerato doloroso, viene recepito come ancora più doloroso. Questo fenomeno avviene nel momento in cui un dolore non viene risolto e permane per molto tempo, facendo scaturire delle modifiche a livello periferico, midollare e cerebrale dei normali meccanismi fisiologici che sono alla base della modulazione della sensazione dolorosa.
Da questa classificazione possiamo capire quanto sia complesso definire quale sia il meccanismo di dolore alla base del nostro mal di schiena, anche perché nella pratica clinica ci troviamo spesso di fronte a casi con un’eziologia multifattoriale e quindi non assimilabili ad una classe soltanto. Da qui nasce la domanda di molti pazienti, ormai esasperati dal proprio dolore:
Un intervento chirurgico potrebbe aiutarmi?

Questa è una soluzione che va presa in considerazione solo per i casi più complessi e che sottendono un dolore neuropatico che non è stato risolto attraverso un trattamento conservativo. Nei casi in cui un’ernia discale o una stenosi del canale midollare causino deficit neurologici, come perdita di forza, sensibilità e riflessi e che non sono regrediti in sei settimane, allora è necessario richiedere una valutazione da un neurochirurgo per definire la necessità di un intervento chirurgico.

Un’altra situazione in cui è immediatamente necessario un consulto da uno specialista è la presenza di una bandiera rossa, ovvero di segni e sintomi che ci fanno sospettare gravi patologie. Nel caso della colonna vertebrale possiamo individuare:
- Sindrome della cauda equina, causata dalla compressione delle 20 radici spinali che originano dal cono midollare. Genera deficit neurologici agli arti inferiori anche bilaterali, deficit vescicali, intestinali e sessuali.
- Fratture spinali, che possono essere traumatiche o determinate da osteoporosi o metastasi.
- Tumori, che possono causare fratture, come sopra, o comprimere le radici nervose.
È molto importante riuscire ad inquadrare tempestivamente situazioni di questa gravità, per poter permettere al paziente un consulto specialistico e quindi la presa in carica di un problema che non può essere risolto attraverso un trattamento fisioterapico.

In tutti gli altri casi la prima strategia da seguire è quella del trattamento conservativo. Attraverso un colloquio, la raccolta dei dati anamnestici ed un esame clinico sarà possibile individuare il meccanismo patologico alla base del mal di schiena e risolverlo attraverso un percorso riabilitativo cucito su misura. L’intervento del fisioterapista prevede:
- Terapia manuale, attraverso tecniche che prevedono il recupero della mobilità articolare, la risoluzione di rigidità muscolari e la modulazione del dolore.
- Esercizio terapeutico, attraverso la somministrazione di esercizi attivi che migliorino l’attivazione muscolare, aumentino la stabilità del rachide e favoriscano il processo di coscientizzazione da parte del paziente sui movimenti del rachide e sulla postura corretta.
- Educazione del paziente alla gestione del dolore, all’individuazione di tutti quei fattori che possono alimentare il dolore (abitudini, stress meccanico, posture scorrette, alimentazione, qualità di vita)
- Approccio biopsicosociale, gestendo il paziente non solo da un punto di vista meccanicistico, ma inquadrandolo come animale sociale. Abbiamo visto come il dolore possa essere ampliato da esperienze negative che generano un’alterazione dei normali meccanismi fisiologici, quindi situazioni come stress, paura, evitamento del dolore, insoddisfazione sul lavoro, possono essere fattori che inducono alla cronicizzazione.
A cura di:
Filippo Cantarini, FT, SPT student
• Fisioterapista
• Sport Physical Therapist student
• Terapia manuale muscolo scheletrica
• Fibrolisi
