Dietro il running. L’importanza della fisioterapia nello sport più praticato al mondo

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Il sogno di ogni corridore, ma ingenerale di ogni sportivo, è quello di attraversare una stagione fatta di allenamenti e di gare senza infortuni. Un’impresa più che ardua quando si parla di corsa, tutti nel nostro percorso ci siamo passati, infinite volte.

Chi non si è mai sentito dire con un sorrisino stampato sulla faccia “tra qualche anno avrai le ginocchia consumate”, “rimarrai su una sedia a rotelle”.

Ma la corsa è veramente uno sport usurante?

Credo di potervi rispondere serenamente. No.

O meglio, lo diventa per colpa nostra, nel momento in cui esageriamo. Più uscite, più chilometri, più velocità, più dislivello, più volume, il tutto in un breve arco di tempo. Questa è la ricetta ideale per farsi male.

La maggior parte degli infortuni nel running sono da SOVRACCARICO. I nostri tessuti durante l’allenamento si adattano e diventano più forti, adeguandosi fisiologicamente allo stress meccanico a cui sono sottoposti.

Apportare cambiamenti al proprio allenamento, aumentandone il carico globale in breve tempo o senza un necessario riposo, altera questo equilibrio, non permettendo al nostro corpo di mettere in atto quei fenomeni biologici di supercompensazione che garantiscono il miglioramento fisiologico dei nostri tessuti e quindi prestativo.

Il protrarsi di questa condizione di continui stress meccanici eccessivi può portare alla comparsa di una forma reattiva di tendinopatia, che se non curata adeguatamente porta alla degenerazione del tendine stesso.

Quindi? Cosa bisogna fare?

Le soluzioni per ridurre questo rischio ci sono. Sicuramente affidarsi ad un preparatore atletico competente che sappia programmare i nostri allenamenti in maniera graduale e adeguata alla nostra condizione fisica. E poi prendere in considerazione un concetto importantissimo, ovvero la QUANTIFICAZIONE DELLO STRESS MECCANICO.  Con esso intendiamo l’insieme di tutte le sollecitazioni che imprimiamo ai nostri tessuti, quindi non solo quelle derivate dalla corsa, che comunque rimangono le più intense, ma anche quelle derivate dalle comuni attività quotidiane e dal lavoro.

Il grafico soprastante ci rappresenta in maniera immediata i concetti appena descritti. Con la linea blu vengono rappresentati gli stress a cui sottoponiamo il nostro corpo (corsa, lavoro, attività quotidiane). Hanno un andamento variabile in base al tipo e alle modalità con cui svolgiamo le nostre attività.

Gli stimoli meccanici impressi con la corsa, che rimangono fra la linea rossa, che rappresenta la massima capacità di carico dei nostri tessuti, e la linea verde, che rappresenta il livello minimo di stress necessario a creare un adattamento, determinano un rafforzamento dei nostri tessuti.

Quindi il nostro allenamento deve produrre stress di un’intensità tale che rimangano all’interno di questi limiti, in modo tale da incrementare le prestazioni senza infortuni. Stimoli inferiori alla linea verde non generano alcun miglioramento fisico. Stimoli superiori alla linea rossa ci fanno entrare in una zona a rischio.

Se l’intensità rimane alta per troppo tempo il rischio è quello di andare ad irritare i tessuti. Il primo segnale che si è superato questa linea è il dolore, immediato campanello d’allarme, fino ad arrivare a rigidità mattutina o gonfiore nei casi più avanzati. Se il nostro allenamento sarà ben calibrato ed efficace, il livello delle due linee, verde e rossa, si alzerà.

I nostri tessuti avranno aumentato la loro capacità di carico agli stress meccanici e quindi ne saranno necessari di più intensi per determinare un nuovo adattamento fisiologico. Un’altra cosa importante da sapere è che questi due limiti sono influenzabili da tanti fattori, non solo dall’allenamento. Nonostante un allenamento graduale, fattori come stress psicologico, ansia, disturbi del sonno, alimentazione, possono abbassare il limite massimo della zona di stress meccanico, rendendoci più vulnerabili ad eventuali sovraccarichi.

Cosa bisogna fare nel momento in cui si supera la soglia massima di stress meccanico e si incappa in un infortunio?

Qui entra in gioco la figura del FISIOTERAPISTA, che ha diverse strategie per risolvere le patologie da overuse (sovraccarico).

Educare il paziente alla quantificazione e gestione delle sollecitazioni che imprimiamo sulla struttura infortunata, riducendo tutte quelle attività che possono sovraccaricarla. In questo modo il paziente sarà autonomamente in grado di gestire i carichi di lavoro durante la propria quotidianità e durante gli esercizi. Il metodo più semplice ed efficace per farlo è basarsi sulla valutazione del sintomo doloroso.

Considerando una scala del dolore che va da 0 (nessun dolore) a 10 (dolore più forte mai provato), il paziente potrà svolgere tutte le attività che non generino un aumento del dolore sopra al valore 5, durante o dopo l’attività e la mattina seguente.

Il riposo è efficace nei primi due giorni dopo l’esordio del sintomo per ridurne l’intensità, ma non è efficace a lungo termine perché provoca un ulteriore diminuzione della capacità di carico della struttura coinvolta.

Nel caso in cui si eseguisse un’attività che generi un dolore compreso fra 2-4 sarà necessario far seguire 2 giorni di riposo per permettere ai tessuti di recuperare, se il dolore supera il valore 5, i giorni aumentano a 3.

Esercizio terapeutico.

Nel caso in cui il dolore persistesse ai primi giorni di riposo, bisogna iniziare con una serie di esercizi che coinvolgano i muscoli e il tendine infortunato al fine di riadattarli gradualmente alla sopportazione di stress meccanici, rafforzandoli.

Si prediligono esercizi di contrazione concentrica e soprattutto eccentrica, cercando di limitare le forze tensili e di compressione sul tendine, gestendo l’intensità, la modalità di esecuzione, e il volume seguendo il pain monitoring model visto sopra.

Il fisioterapista costruirà un esercizio a misura del paziente, educandolo alla corretta esecuzione, in modo tale da poterlo ripetere autonomamente a casa, in quanto è necessario ripetere gli esercizi almeno 2 volte al giorno, tutti i giorni, a distanza di sei ore l’uno dall’altro. È utile associare anche un’attività aerobica per aumentare il metabolismo dei tessuti e attivare i fenomeni di modulazione del dolore. È possibile eseguire anche sedute di corsa, magari di breve durata (15-20 minuti), se il dolore lo permette, o scegliere attività a minor impatto come il nuoto o il ciclismo.

Onde d’urto. Sono una terapia fisica non invasiva che attraverso la generazione di onde acustiche, applica uno stimolo meccanico ai tessuti e alle cellule che li compongono, determinando reazioni metaboliche con effetto antinfiammatorio e antidolorifico e migliorando la microcircolazione locale.

Terapia manuale. Utili alla risoluzione delle tendinopatie sono anche i trattamenti miofasciali attraverso tecniche manuali. In particolar modo il trattamento dei Trigger Points, ovvero punti all’interno del ventre muscolare in cui le fibre rimangono in stato di contrazione prolungata a causa di un sovraccarico del muscolo che ha generato una riduzione dell’apporto di ossigeno e nutrienti. Anche il classico massaggio è utilizzato per risolvere dolorose contratture muscolari che generano un aumento della tensione applicata sul tendine.

 Tecnica di corsa. Anche alcune indicazioni per il miglioramento del gesto della corsa sono importanti per ridurre le forze d’impatto con il suolo e quindi gli stress muscolo-scheletrici. Non bisogna fossilizzarsi sull’allineamento perfetto, ognuno è diverso dall’altro, ognuno ha le proprie variazioni anatomiche o biomeccaniche che si sono strutturate nel tempo e soprattutto ognuno ha un proprio schema motorio. L’unica attenzione che dobbiamo avere è quella di aumentare la frequenza e diminuire la lunghezza del passo e fare meno rumore possibile durante gli appoggi. Queste modifiche ci porteranno automaticamente ad una corsa di avampiede che riduce gli impatti con il suolo e quindi il rischio di sovraccarico dei tessuti.

Bibliografia

•             Blaise Dubois, Frederic berg – LA SALUTE NELLA CORSA – Mulatero editore. 2020

(2012).

A cura di:

Filippo Cantarini, FT, SPT student

•          Fisioterapista

•          Sport Physical Therapist student

•          Terapia manuale muscolo scheletrica

•          Fibrolisi

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