I più comuni infortuni nella corsa

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Il running ormai è diventata pratica comune nella popolazione mondiale. L’aumento di eventi internazionali (maratone, mezze maratone, trail) ed il conseguente aumento degli iscritti, ne è la prova lampante.

Questo processo è presente anche in Italia. Un’indagine condotta dall’Istituto Piepoli per FIDAL (Federazione Italiana Di Atletica leggera) nel 2016 sostiene come il 47% degli italiani pratichi la corsa almeno una volta alla settimana ed un consistente 17% almeno 2-3 volte a settimana ed il trend sembra in costante aumento. D’altronde gli effetti benefici sono chiari a tutti, sia fisici che psicologici, ma una pratica continuativa o poco equilibrata può condurci ad infortuni. Cerchiamo di capire quali sono gli infortuni più comuni e le strategie per prevenirli e curarli.

Biomeccanica della corsa
Come prima cosa analizziamo la corsa e le sue diverse fasi. Avere ben chiari questi concetti ci aiuta a comprendere meglio i possibili meccanismi di infortunio. La corsa è composta da 3 fasi: fase portante (stance), in cui il piede è a contatto con il suolo; fase di doppio volo (double float), in cui non vi è contatto con il suolo; fase di oscillante (swing), in cui piede e arto vengono portati in avanti.

La fase portante (40% del ciclo della corsa), a sua volta, è divisa in fase di appoggio, fase di assorbimento e fase di spinta. Per comprendere bene quest’ulteriore differenziazione dobbiamo introdurre un altro concetto, quello delle Ground Reaction Force (GRF), ovvero le forze che il suolo restituisce al piede durante la corsa.

La posizione delle GRF cambia nelle varie fasi, determinando diverse posizioni del piede:
• Fase di appoggio, il tallone tende a toccare per primo il suolo, la caviglia è in posizione neutra, e sotto l’azione delle GRF che passa posteriormente al piede, tende a plantifletterla. Associato movimento di supinazione.
• Fase di assorbimento, si appoggia il mesopiede e la caviglia inizia la sua dorsiflessione. Le GRF sono al centro del piede. Associato movimento di pronazione.
• Fase di spinta, la caviglia dalla massima dorsiflessione, passa alla plantiflessione. Le GRF sono anteriori. Associato movimento di supinazione.

Ci sono fattori variabili che vanno ad influenzare le GRF e di conseguenza lo stress articolare e miotendineo:
• Massa del soggetto: conseguenza del secondo principio della dinamica (F=ma), se aumenta la massa del runner, aumenterà anche la forza con cui impatterà al suolo e di conseguenza anche le GRF.
• Velocità: con l’aumentare della velocità aumentano i carichi all’impatto e cambia il pattern d’appoggio che tende vero il mesopiede.
• Patterns d’appoggio: questa è una variabile molto importante. Esistono runner che appoggiano di retropiede (70%) e runners che appoggiano di meso-avampiede (30%). Chi attera con la parte posteriore del piede avrà un aumento delle GRF al momento dell’impatto con il suolo, mentre per chi poggia di mesopiede le GRF saranno minori, mitigate dal lavoro di assorbimento condotto da polpaccio e tendine d’Achille, che saranno maggiormente sottoposti a stress.
• Lunghezza e frequenza del passo: l’obiettivo per chi corre è diminuire la lunghezza del passo, in modo tale da permettere un atterraggio dell’arto inferiore più verticale ed in linea con il corpo, riducendo gli stress articolari e muscolari. Per permettere questo è necessario aumentare la frequenza del passo che deve essere di 170-190 bpm, riducendo così le famose GRF.
• Superficie d’appoggio: correre in discesa o salita, oppure in superfici instabili determina cambiamenti in tutti i fattori visti finora.
• Scarpe: la scelta della scarpa varia molto il nostro pattern d’appoggio e di conseguenza il lavoro muscolo-tendineo. Bisogna considerare alcune caratteristiche, Drop (differenza di altezza fra tacco e punta), Toe Sping (differenza di altezza fra punta della scarpa e suolo), Spessore dell’intersuola, Flessibilità e Peso. Una scarpa minimal, che riduce le caratteristiche appena elencate, determinerà una lunghezza e frequenza del passo più corretta, ma uno stresso maggiore per tendine d’Achille e polpacci, se non sufficientemente allenati.

Non ci sono regole fisse, non esiste una scarpa, un pattern d’appoggio o una superficie migliore di un’altra, le scelte devono essere fatte in base alle proprie esigenze, caratteristiche personali e soprattutto allenamento. Nel momento in cui vengono fatti dei cambiamenti all’interno di questi fattori, bisogna mantenere una naturale gradualità, per permettere al nostro corpo gli adattamenti necessari senza incorrere ad infortuni.
Infortuni più comuni e trattamento

Periostite tibiale (Medial tibial stress syndrome)


Si tratta di una periostite, di cui non è ancora chiara l’eziologia, dovuta, probabilmente, ad una mancata corrispondenza fra riassorbimento osseo e sua formazione per stress indotto dall’azione del soleo e del flessore lungo delle dita.
Fattori di rischio
• Eccessiva pronazione del piede
• Aumento di intensità o durata dell’allenamento
• Terreni irregolari


Diagnosi
Avviene con l’esame clinico, attraverso la raccolta dei dati anamnestici del paziente che spesso riferisce un aumento graduale del dolore, prima solo ad inizio attività, per finire con l’essere presente anche ad allenamento concluso o a riposo. Palpazione del terzo medio del margine mediale tibiale e test muscolari per soleo e flessore lungo delle dita scateneranno il sintomo del paziente.


Trattamento
• Gestione dei carichi. Riposo incrociato ad attività a minor impatto (ciclismo, corsa nell’acqua, nuoto)
• Eventuali ortesi
• Stretching polpaccio e muscoli dell’anca
• Contrazioni eccentriche polpaccio ed esercizi di core stability
• Ripresa graduale della corsa solo a totale assenza del dolore durante il cammino

Tendinopatia achillea


E’ comunemente chiamata in maniera erronea tendinite, termine che va abbandonato perché analisi istologiche hanno dimostrano che non sono presenti processi infiammatori nel tendine. L’eziologia di questa patologia è ancora sconosciuta. Carichi di lavoro eccessivi e fattori individuali, portano ad uno stress tendineo con comparsa di dolore, gonfiore e impotenza funzionale. Possiamo classificare 2 tipi di tendinopatie inserzionali e del terzo medio.

Fattori di rischio
• Peso
• Debolezza tricipite surale
• Carico eccessivo
• Limitazione in flessione dorsale (spesso presente in esiti di distorsione di caviglia)
• Scarpe inadeguate o consumate


Diagnosi
Avviene con l’esame clinico, anche in questo caso con la raccolta dei dati anamnestici del paziente, che spesso riferisce un esordio improvviso del dolore, maggiore a riposo e che diminuisce con l’avvio dell’attività. A seguire un esame di palpazione del tendine per rilevare dolore e gonfiore, un esame del range articolare passivo e attivo e la somministrazione di test di forza. L’esame ecografico o la risonanza magnetica ci possono aiutare nel valutare lo stato del tessuto tendineo.


Trattamento

• Gestione dei carichi. Riposo dalla corsa o utilizzo di attività alternative a minor carico sul tendine nella fase acuta. Vale la regola generale che è permesso fare tutte le attività che non aumentino in maniera significativa il dolore una volta terminate.
• Esercizio terapeutico. Oltre agli esercizi di contrazioni isometriche e concentriche, ottimi risultati sono ottenibili attraverso un protocollo di contrazioni eccentriche.
• Terapia manuale. Attraverso tecniche di mobilizzazione e manipolazioni soprattutto per il recupero della flessione dorsale.
• Onde d’urto
• Crioterapia
• FANS

Fasciopatia plantare


Patologia degenerativa a carico della fascia plantare, anche in questo caso ad eziologia sconosciuta. Si manifesta con un ispessimento della fascia, dolore soprattutto localizzato sul tubercolo calcaneare mediale, possibile presenza di sperone calcaneare.


Fattori di rischio
• Peso
• Attività come corsa o salto
• Carichi eccessivi
• Limitazione del range articolare di caviglia e 1a metatarsofalangea
• Scarpe inadeguate o consumate
• Piede piatto o cavo


Diagnosi
Esame clinico con raccolta dei dati anamnestici del paziente. Età, tipo di attività svolta e possibili cambiamenti adottati nell’ultimo periodo, sede del dolore e sua manifestazione (maggiore la mattina, diminuisce con il riscaldamento). Segue la palpazione della fascia e del tubercolo mediale del calcagno e la somministrazione di test di forza per sollecitare la fascia.


Trattamento
• Gestione dei carichi
• Trattamento trigger points nella zona del polpaccio e della pianta del piede
• Fibrolisi o massaggio trasverso profondo sulla fascia plantare
• Stretching della fascia e del tricipite della sura
• Mobilizzazione della caviglia e della 1a metatarsofalangea
• Esercizi di rinforzo con contrazioni concentriche, isometriche ed eccentriche

Distorsione di caviglia


Lesione muscolo-scheletrica molto diffusa fra chi corre su superfici sconnesse, che spesso viene trascurata, aprendo la possibilità a recidive o patologie degenerative a carico di strutture vicine (tendinopatia achillea, artrosi). Il meccanismo più comune di distorsione è in inversione e che coinvolge le strutture laterali della caviglia (legamento peroneo-astragalico anteriore, legamento peroneo-calcaneare).

Il trauma in eversione è meno comune, ma più complesso nel trattamento ed interessa le strutture mediali della caviglia (sindesmosi tibio-peroneale, legamento deltoideo). Conseguenza di distorsioni gravi possono anche essere fratture di tibia, perone od ossa del piede.


Fattori di rischio
• Precedente distorsione
• Trattamento di recupero non adeguato
• Deficit di propriocezione
• Deficit di forza
• Limitata flessione dorsale
• Mancato utilizzo di meccanismi di protezione in fase di recupero (bendaggi,tutori)


Diagnosi
In questo caso la diagnosi è più semplice, l’evento traumatico è ben riconoscibile. Se il paziente ha evidenti difficoltà a compiere qualche passo, un esame radiografico sarà necessario per escludere possibili fratture. La conoscenza del meccanismo traumatico e la raccolta dei dati anamnestici del paziente ci permettono di condurre un esame clinico mirato alle strutture coinvolte, valutando la presenza di edema, versamento e dolore attraverso la palpazione.

Seguono un esame articolare, esame della forza muscolare e test specifici per valutare il coinvolgimento delle strutture legamentose. L’esame ecografico ci aiuta a precisare quali legamenti sono stati interessati e con che grado di lesione.


Trattamento
Il trattamento è prevalentemente di tipo conservativo. Si ricorre alla chirurgia se il trattamento conservativo è fallito o in caso di gravi instabilità in atleti professionisti.


Fase acuta
• P.O.L.I.C.E (protezione, carico ottimale, ghiaccio, compressione, elevazione) volto a favorire la riduzione di dolore e edema
• Terapia manuale per il recupero dell’escursione articolare e modulazione del dolore
• Esercizi di mobilizzazione attiva della caviglia
• Esercizi di carico


Fase sub-acuta
• Terapia manuale
• Contrazioni isometriche, concentriche ed eccentriche per i muscoli stabilizzatori della caviglia
• Rinforzo muscolare di tutta la catena cinetica (muscoli stabilizzatori di anca e ginocchio)
• Propriocezione
• Bendaggio
• Simulazione di gesti sport specifici

Sindrome della bandelletta ileo-tibiale


E’ una patologia che determina dolore laterale al ginocchio, che spesso si presenta dopo 10-15 minuti dall’inizio dell’attività. L’eziologia è ancora sconosciuta, si pensa che le cause siano multifattoriali, e che determinino un eccessivo attrito del tratto ileo-tibiale distale contro l’epicondilo laterale del femore, soprattutto ai 30° di flessione del ginocchio. La mancanza di evidenze in letteratura determina ancora poca chiarezza sull’origine di questa sindrome.


Fattori di rischio
• Repentino aumento del chilometraggio settimanale
• Debolezza muscoli stabilizzatori del bacino
• Aumento dell’adduzione dell’anca e della rotazione interna del ginocchio nella fase portante della corsa


Diagnosi
Avviene attraverso l’esame clinico e la raccolta dei dati anamnestici del paziente. Conoscere la modalità di insorgenza dei sintomi, la loro localizzazione e la storia sportiva del paziente ci aiuterà molto nella corretta diagnosi. Segue la somministrazione di test muscolari e funzionali per valutare la muscolatura stabilizzatrice del bacino. Un’analisi della corsa può aiutare ad individuare la presenza di fattori di rischio biomeccanici.


Trattamento
• Gestione dei carichi. Riposo o attività alternative.
• Rinforzo muscoli stabilizzatori dell’anca (contrazioni isometriche ed eccentriche)
• Migliorare il controllo neuromuscolare di tutta la catena cinetica
• Modificare frequenza e lunghezza del passo
• Onde d’urto

Sindrome femoro-rotulea


E’ un dolore non specifico anteriore del ginocchio che deriva da uno squilibrio delle forze che mantengono la rotula in asse, determinandone un disallineamento o un aumento della compressione intra-articolare. Anche in questo caso si tratta di una patologia multifattoriale ad eziologia ancora poco chiara. Da qui la difficoltà di delineare un trattamento univoco e basato su solide evidenze scientifiche.


Fattori di rischio
• Aumento intensità e chilometraggio degli allenamenti
• Debolezza muscolare. In particolar modo di quadricipite e abduttori e rotatori esterni dell’anca
• Attivazione ritardata del muscolo vasto mediale
• Ridotta flessibilità dei muscoli dell’arto inferiore
• Iperpronazione del piede


Diagnosi
L’esame clinico e la raccolta dei dati anamnestici del paziente rimangono, anche in questo caso, gli strumenti ideali per diagnosticare la sindrome femoro-rotulea, attraverso la somministrazione di test di forza e funzionali e l’analisi della corsa dell’atleta.


Trattamento
• Gestione dei carichi. Riposo o attività alternative
• Stretching
• Rinforzo muscolare (quadricipite, abduttori e rotatori esterni d’anca)
• Propriocezione
• Taping funzionale per la rotula

Fratture da stress


Vere e proprie lesioni del tessuto osseo a seguito di sollecitazioni meccaniche ripetute senza il tempo necessario di adattamento.


Fattori di rischio
• Repentino aumento dei carichi di lavoro
• Cambio superficie di corsa
• Scarpe logore o non adatte


Diagnosi
L’esame clinico e la raccolta dei dati anamnestici riveleranno un esordio dei sintomi graduale e senza un trauma diretto, dolore nella sede di frattura e possibilità di gonfiore locale. Una radiografia è necessaria per diagnosticare la frattura. Se fatta in fase acuta potrebbe risultare negativa, è necessario che si formi il callo osseo.


Trattamento
Il trattamento è di tipo conservativo nella maggior parte dei casi. Si ricorre alla chirurgia solo nei casi di fallimento del trattamento conservativo o di atleti professionisti.
• Riposo o attività alternativa a minor impatto
• Stampelle
• Tutori


Questa breve guida non vuole traumatizzare il podista ed allontanarlo dai sui allenamenti quotidiani.

Tutt’altro, ha lo scopo di sensibilizzarlo verso i fattori di rischio conseguenti ad una pratica continua della corsa, in modo tale da limitarli e prevenire ogni tipo di infortunio.

Come abbiamo visto, soprattutto nelle patologie da overuse, l’intervento principale è la riorganizzazione dei propri allenamenti ed obiettivi, garantendo un graduale adattamento del nostro fisico. Nel caso riconosceste uno dei segni e sintomi qui elencati, non esitate a rivolgervi ad uno specialista.

Fonte
• Robert A. Gallo, Michael Plakke, and Matthew L. Silvis et al. Common Leg Injuries of Long-Distance Runners. Anatomical and Biomechanical Approach. Sports Health. 2012
• Alexandre Dias Lopes, Luiz Carlos Hespanhol, Jr.,corresponding author Simon S. Yeung, and Leonardo Oliveira Pena Costa et al. What are the Main Running-Related Musculoskeletal Injuries? A Systematic Review. Sports Med. 2012
• Jodi Aderemcorresponding author and Quinette A. Louw et al. Biomechanical risk factors associated with iliotibial band syndrome in runners: a systematic review. BMC Musculoskelet Disord. 2015
• Michael Fredericson, and Chuck Wolf et al. Iliotibial Band Syndrome in Runners: Innovations in Treatment. Sports Med. 2005
• C J Barton, D R Bonanno, J Carr, B S Neal, P Malliaras, A Franklyn-Miller, and H B Menz et al. Running retraining to treat lower limb injuries: a mixed-methods study of current evidence synthesised with expert opinion. British Journal of Sports Medicine 2015
• Mikhail Saltychev, Rebecca A. Dutton, Katri Laimi, Gary S. Beaupre, Petri Virolainen, and Michael Fredericson et al. Effectiveness of conservative treatment for patellofemoral pain syndrome: a systematic review ad meta-analysis. J Rehabil Med 2018

A cura di:


Filippo Cantarini, FT, SPT student
• Fisioterapista
• Sport Physical Therapist student
• Terapia manuale muscolo scheletrica
• Fibrolisi

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